Storia

NASCE l’OR.S.A.

L’economia del nostro Paese è sempre più inserita in una prospettiva di liberalizzazione e globalizzazione del sistema produttivo: gli stessi parametri di Maastricht, capisaldi dell’Unione Europea ispirati a tale logica, sospingono i Governi dei vari Paesi europei ad adottare politiche con forti connotazione monetaristiche e, quindi, ad abbandonare, con contenuti più o meno marcati, le politiche del Welfare State, che costituiscono una tipica connotazione della civiltà del vecchio continente.

Nonostante questi tentativi di dare un nuovo assetto al sistema economico, la fase che stiamo attraversando è caratterizzata da rilevanti contraddizioni e da consistenti elementi di crisi. Siamo di fronte ad un processo di riforma che rende più difficile i rapporti sociali a causa del crescente tasso di disoccupazione, della massiccia immigrazione, anche clandestina, delle difficoltà a sostenere lo sviluppo economico, dell’assenza di una politica sociale in grado di incidere sui grandi problemi strutturali del sistema produttivo.

I segni di questa crisi si manifestano con grande intensità anche sul terreno finanziario. Sono sintomatiche, in tale ottica, le recenti svalutazioni monetarie in talune realtà asiatiche ed ancor più l’immediata e cruenta incidenza degli squilibri finanziari dei mercati orientali su quelli occidentali, con l’inclusione dei più autorevoli centri della negoziazione ritenuti vere e proprie cattedrali della finanza.

Come sempre, la crisi finanziaria riflette in ultima analisi gli scompensi, le deficienze, le criticità presenti nell’economa reale, caratterizzata da una tendenza all’incremento di potenziale produttivo in eccedenza che determina una sovrapproduzione rispetto alla domanda solvibile.

La realtà economica del nostro Paese mostra con evidenza un paradosso: a fronte di un reale incremento dei profitti e dei dividendi per gli imprenditori, non corrisponde purtroppo un adeguato rilancio dell’occupazione ma, al contrario, si assiste ad una sua contrazione in termini assoluti, accompagnata da una riduzione del salario reale dei lavoratori, quindi con la conseguente riduzione della domanda.

Anche la timida ripresa economica registrata in questi mesi si rivela assolutamente insufficiente al cospetto delle aspettative. Illuminante su questo aspetto i dati forniti dall’ISTAT denotano con chiarezza come i problemi della crisi non siano una conseguenza del costo del lavoro o della insufficiente flessibilità e come l’azione sociale del sindacato si sia rivelata profondamente inadeguata.

L’estendersi sull’intero pianeta della pura logica concorrenziale del libero mercato ha acuito le diseguaglianze. Anche l’ultimo autorevole rapporto dell’UNDP (United Nations Development Programme) dimostra l’esclusione dai consumi di una fetta via via crescente della popolazione mondiale, nient’affatto confinata nei paesi più poveri, ma presente nei paesi più ricchi. Mentre il rapporto dell’ILO (International Labour Organisation) prevede che a breve termine il numero dei disoccupati nel mondo raggiungerà la cifra di 150 milioni di persone, quello dei lavoratori sottoccupati circa 900 milioni, ovvero assai più di quarto della popolazione attiva mondiale, con oltre 60 milioni di giovani in cerca di lavoro senza contare quelli che ormai vi hanno rinunciato. Sia nel mondo del lavoro, con particolare incidenza in quello precario, come quello della disoccupazione è aumentata la presenza della componente femminile, che cambia considerevolmente la composizione del lavoro subordinato.

Il recente rapporto Unicef ci parla di un miliardo di persone analfabeta nel mondo. Due terzi di questi sono donne, un sesto bambini. Dunque un abitante del pianeta su sei non sa né leggere né scrivere e la componente femminile è superiore al 70%. L’Europa, dal canto suo, fornisce il suo pesante contributo a queste statistiche.

Oltre venti milioni di disoccupati e un’incidenza crescente della povertà, in particolare tra le donne, sono il grave bilancio delle politiche liberiste e neoliberiste, e dell’inseguimento di modelli sociali che consentono ed amplificano le disuguaglianze più profonde, ben superiori a quelle presenti in quei paesi europei che pur tra difficoltà, hanno saputo mantenere buoni livelli di protezione sociale.

Appare quest’ultimo l’indice rivelatore del mantenimento ed il meccanismo per l’accrescimento di quell’equilibrio sociale frutto della storia del pensiero, della cultura e dall’azione sindacale che ha, in particolare nel nostro secolo e nel nostro Paese, affermato il concetto di eguaglianza dei cittadini senza distinzione di sesso di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

La scienza e la tecnica tenendo a rendersi autonome dalla politica e dall’etica sono sempre più strettamente correlate alle esigenze dell’imprenditore e del profitto, e quindi tendono ad entrare sempre più in conflitto con i bisogni sociali e persino con le condizioni di sopravvivenza del pianeta.

Questo mutamento dei rapporti fra scienza e società sta cambiando profondamente l’atteggiamento soggettivo di ampi strati sociali. In passato, soprattutto nel nostro Paese a partire dalla critica del ruolo, questi soggetti svilupparono uno spostamento critico del senso comune.

Oggi, invece i “saperi” tornano a farsi funzionali al sapere unico. Ciò avviene con ampie contraddizioni, con un aumentano dell’alienazione e dello sfruttamento. Ampi gruppi di lavoratori intellettuali sono investiti in pieno dalla precarizzazione e dalla marginalità sociale. Per questa ragione crediamo che u settore sul quale sia necessario focalizzare l’attenzione sia proprio quello dell’istruzione e della cultura senza nulla togliere, ovviamente, agli altri settori della produzione.

La precarietà diventata la parola magica, ovunque utilizzata per rendere più vulnerabile non soltanto la società dei più deboli, ma anche quella dei ceti medi e di coloro che oggettivamente e soggettivamente non si sentono tali.

La stessa logica della flessibilità contrattuale, dei contratti atipici o di collaborazione, dei patti d’area, della pretesa delle associazioni datoriali di costruire un sistema sostanzialmente senza regole sono elementi di instabilità estrema, che rendono molto incerte le prospettive anche di coloro che il lavoro ce l’hanno.

Il ruolo del sindacato è fortemente messo in discussione in un quadro di debolezza, di incertezza e di frammentazione tanto diffuso nel mondo del lavoro a causa delle difficoltà che incontra nel definire la propria identità, il suo modo di essere, rispondere, incidere sulla politica datoriale. Crediamo sia veramente giunto il momento di raccogliere questa sfida e la costituzione dell’OR.S.A. può diventare il banco di prova per la ricerca di un ruolo sindacale che non può essere subalterno alle esigenze della politica, ne può rinunciare ad autonome analisi ed alla conseguenti e funzionali iniziative.

Il prioritario obiettivo va individuato nella ricomposizione di un tessuto sociale assai compromesso sia dal punto di vista dell’organizzazione sociale dei lavoratori sia sul versante dall’azione sindacale, che è necessario rafforzare nel ruolo d’interdizione e sviluppare sotto il profilo propositivo.

Difendere il lavoro come diritto di tutti; difendere lo stato sociale, la condizione economica dei lavoratori in pensione e i contratti collettivi nazionali; definire nuove regole per rendere compatibili la tutela e i diritti dei lavoratori con un riferimento europeo; ripartire il lavoro in un quadro normativo europeo; affermare la centralità del lavoro nel sistema produttivo, valorizzandone la sa funzione sociale, accrescendone l’incidenza nell’impresa; creare la condizione per la migliore redistribuzione della ricchezza prodotta: questi sono gli elementi centrali dell’azione del soggetto sindacale che abbiamo costituito.

L’OR.S.A. vuole essere il punto d’incontro, il crocevia di esperienza, anche diverse, che sappiano arricchire l’analisi critica e dunque, il momento di sintesi per riuscire a svolgere con forza ed efficacia l’azione sindacale di cui i lavoratori avvertono il bisogno. Un’Organizzazione di Sindacati Autonomi e di Base che, pur nella diversità di percorsi organizzativi, sappia coniugarne le specificità e convogliarne le azioni senza togliere la ricchezza delle rispettive esperienze. Un sindacato aperto all’apporto costruttivo di tutti coloro che vogliano fare attività sindacale, che intende raccogliere la sfida di rappresentare i lavoratori in un contesto difficile come quello dei nostri giorni, ma con lo spirito di chi è consapevole di poter vincere.

Perché l’OR.S.A.

La spiegazione del perché l’OR.S.A. potrebbe ridursi al “ci siamo fatti in uno per voi”, in contrapposizione allo slogan “ci stiamo facendo in quattro per voi”, slogan attraverso il quale alcune grandi aziende hanno annunciato lo spezzamento societario. Sarebbe però voler ridurre a rango di motto una, invece, importante iniziativa – giustamente definita storica – che, dopo anni di tentativi falliti ed occasioni mancate, vede aprirsi per i sindacati aderenti un cammino difficile ma certamente ambizioso e ricco di prospettive.

Non si tratta di mettere insieme forze che hanno in comune la propria opposizione allo strapotere degli storici sindacati confederali. Sarebbe stato come ripetere l’errore a suo tempo fatto in occasione di altri tentativi e di altre intese senza fortunati effetti, proprio perché erano soggetti che “nascevano contro altri” e non come autentico germoglio di un’idea che legittima la sua stessa esistenza. Nemmeno si tratta di “unire le truppe” per cautelarsi rispetto ad una legge restrittiva sulle rappresentanze sindacali.

Ciò che l’OR.S.A. rappresenta, è legato a storie e culture lontane che hanno costituito il sedimento indispensabile per dare vita ad un nuovo soggetto di rappresentanza e di tutela sindacale. Una Federazione che, nascendo alle soglie del nuovo millennio e dovendosi proiettare su uno scenario di relazione con profili e giunture di livello sovrannazionale, deve essere snella, moderna, aperta alla mediazione dei conflitti ed al negoziato contrattuale.

Il percorso federativo che si è avviato non significa il superamento delle proprie identità anzi, le diverse esperienze e tradizioni consentiranno alla nuova Federazione “OR.S.A.” di ampliare e rafforzare le singole potenzialità, ponendola quale soggetto autorevole ed affidabile in un comparto operante in tutte le varietà dei settori produttivi, specialmente in questa fase di forte aggressione alle libertà democratiche del diritto di sciopero in cui viene sempre più messa in discussione la rappresentanza dei lavoratori.

Le Organizzazioni Sindacali che hanno dato via all’OR.S.A. provengono da esperienze e culture diverse ma non alternative. Le assimila la comune condivisione del valore dell’autonomia e dell’indipendenza, delle libertà e del diritto. Le unisce la voglia di continuare a rappresentare i lavoratori, i loro diritti, le loro legittime aspettative nella chiarezza e nella correttezza dei ruoli. Le guida la consapevolezza del “capitale Lavoro” come valore primario e prevalente in ogni settore ed in ogni processo produttivo e quindi la speranza di rendere il lavoratore partecipe e protagonista delle scelte aziendali.

“Un Sindacato ed un progetto per il lavoro con dimensioni Europee”

Roma, 29 luglio 1999

                                                                                                             La Segreteria Generale

Stampa | Mappa del sito
© OR.S.A. Umbria